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Il corpo è la mia casa




Il corpo è la nostra casa e il modo in cui lo abitiamo ci dice come stiamo!

Quale cammino dobbiamo percorrere per arrivare ad abitare pienamente il nostro corpo? Quali possibili strade?


Vedere il corpo

La prima via è la via visiva.

Il corpo umano è bello da vedere. Vedere l’altro o sentirsi visti dall’altro significa riconoscerne l’esistenza, cogliere la presenza dell’altro, rendersi conto della sua specificità, unicità e diversità.

Di fronte al corpo umano possiamo rimanere incantati dalla sua bellezza e affascinati dalla sua armonia ma possiamo rattristarci e addolorarci quando i nostri occhi incontrano corpi goffi, malati, abbruttiti, straziati.

Il canale visivo offre una valutazione estetica, ma quale è il rischio? Che il nostro sguardo trasformi il corpo in oggetto, lo valuti, lo sottoponga a confronti (bello/brutto, magro/grasso ecc).

E quanta fatica si fa per rendere il proprio corpo più bello, per farlo corrispondere ai canoni di bellezza o per far scomparire i segni del tempo vissuto!

È questo il grosso limite del codice visivo: vedere il corpo solo “dal di fuori” e ridurlo alla sua immagine.


Sentire il corpo

È una seconda via che permette di percepire il corpo “dal di dentro”. Tocca la dimensione del piacere, del dolore, della tensione, del rilassamento, della presenza o dell’assenza di un bisogno fisiologico, ecc.

Sentire il corpo significa avvertire i segnali dei nostri bisogni primari.

Ogni parte del corpo desensibilizzata o contratta è correlata a emozioni e sensazioni bloccate. Ogni emozione che non può diventare consapevole crea un disagio psichico e relazionale.

La percezione dei bisogni fisiologici (sperimentare fame, freddo, dolore, stanchezza, piacere, bisogni di ingerire e di espellere, voglia di abbracciare e di essere abbracciati, istinto della sessualità...) può essere bloccata o distorta perché le parti del corpo coinvolte sono contratte o desensibilizzate ed è in questo caso che non riusciamo a dare nome e risposta ai nostri bisogni in modo spontaneo.

Quando non avvertiamo o non siamo capaci di decodificare questi segnali, il corpo li urla attraverso la malattia o il dolore e noi smarriamo la nostra identità corporea.

Tante sono le malattie ed i disagi psichici che nascono a causa della sordità sensoriale.

Anche la strada del sentire diventa limitata di fronte alla complessità del rapporto corpo-mente. C’è bisogno di conoscere ed intraprendere altre vie.


Pensare il corpo

Sono decisivi i nostri pensieri sul corpo.

Possiamo dire che siamo il corpo che ci permettiamo di pensare. Il corpo è negato nella misura in cui non ha uno “spazio nella mente”.

Riuscire a pensare il corpo significa poter comprendere i suoi significati profondi: velamento e svelamento dell’essere, apertura e limite, identità e relazione, finitudine e superamento… I significati intimi si comprendono non tanto a livello cognitivo ma a livello corporeo.

Sentire fino in fondo un’emozione, le sue sensazioni nel corpo in tutta la loro intensità permette di comprendere le sue ragioni e si apprende ad autoregolarla.

Il corpo sentito e pensato fa emergere i vissuti corporei: il chiudersi e l’aprirsi, il prendere e il dare, l’invadere e l’essere invaso, il coprirsi e il denudarsi, il ferirsi e l’espandersi, il piegarsi e il distendersi.

I vissuti corporei rivelano quindi, non solo i significati ma anche l’intenzionalità del corpo: dove sta andando o vuole andare. In effetti, l’organismo umano è sempre collocato tra il now e il next, sempre intenzionato a raggiungere uno scopo preciso. In questo gioco di verbi e di vissuti si costruisce la trama di un’esistenza significativa e profonda.


Vivere il corpo

È la “via regia” per comprendere la corporeità!

È il corpo vissuto. Si tratta di esperienze arcaiche, di un territorio dell’esistenza poco conosciuto ed esplorato al quale si arriva gradualmente, poco a poco. Per comprendere cosa diciamo con l’espressione “corpo vissuto” bisogna distinguere tra “anatomia reale”, ossia il corpo anatomico, e “anatomia simbolica”, ossia lo schema corporeo. Il corpo anatomico è quello che i nostri occhi vedono, invece lo schema corporeo è il corpo costruito dentro di noi.

In base alle carezze che abbiamo avuto e che abbiamo potuto dare, alle conferme avute, ai permessi di agire (muoverci, esplorare e manipolare l’ambiente), di toccare e di essere toccati costruiremo il nostro schema corporeo.

Un bambino che è stato visto nel suo corpo, è stato confermato con le parole e con il contatto fisico, che ha potuto sperimentare le potenzialità del proprio corpo ed esplorare il corpo dei suoi genitori, costruirà uno schema del proprio corpo vibrante, grazie al quale potrà vivere la forza ed il calore della corporeità.

È lo schema corporeo la bussola che orienta il cammino nel mondo, che colora e determina il sapore delle relazioni. Il modo in cui sentiamo e viviamo il corpo anatomico è quindi determinato dallo schema corporeo.

La desensibilizzazione e la rigidità di alcune parti del corpo sono il segno che quelle parti non sono abitate, cioè non sono presenti nello schema corporeo.


L’area della competenza psicoterapeutica si colloca nello scarto che c’è tra “corpo reale” e “corpo vissuto” per arrivare alla loro progressiva integrazione.

Quando lo schema corporeo combacia con il corpo anatomico raggiungiamo la pienezza. Viviamo un senso di armonia, di unità interiore, di rinascita.

Una persona che abita il proprio corpo c’è pienamente, con tutta se stessa nel proprio corpo.


Filomente Psicologia


Bibliografia

Salonia G. (2011), Sulla felicità e dintorni. Tra corpo, parola e tempo, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 17-19.

Salonia G. (2000), Respiro il corpo che parla di me. Itinerario di modalità per accedere al cuore della corporeità, in “Messaggero cappucino”, n 4, 14-16, 15.

Salonia G. (2008), La Psihoterapia della Gestalt e il lavoro sul corpo. Per una rilettura del fitness, in Vero S., Il corpo disabitato. Semiologia, fenomenologia e psicopatologia del fitness, Franco Angeli, Milano, 51-71.


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